mercoledì 14 maggio 2014

L’Accordo di Gaza del 2014 fa di Hamas uno strumento di Israele?

RIPRENDIAMO E PUBBLICHIAMO IN TOTO DAL SITO "PALESTINA ROSSA", PERCHE' QUEST'ARTICOLO SINTETIZZA ED ESPLICA MIRABILMENTE TUTTI I NOSTRI "CAVEAT" E LE NOSTRE PERPLESSITA' SULLA RECENTE, ENNESIMA, "RICONCILIAZIONE" HAMAS-FATAH.

L’accordo fra le due principali organizzazioni ‘governative’ palestinesi, Fatah e Hamas (che ormai ha quasi del tutto abbandonato l’Asse della Resistenza), è stato salutato con favore da molti analisti (fra cui molti vicini alla causa palestinese) tranne rare eccezioni. Purtroppo, anche questa volta, c’è un solco profondo fra la realtà e le illusioni. Di conseguenza è bene chiarire, sia pur sinteticamente, i risvolti di questo matrimonio che, per quanto mi riguarda, non credo durerà a lungo. Cominciamo intanto con il contestualizzare gli eventi.

Prima di entrare nel merito dell’accordo è bene ricordare che entrambe le organizzazioni vengono da un momento difficile che ha visto erodere sensibilmente il loro consenso all’interno della società palestinese.  

Fatah ha visto calare sensibilmente il suo prestigio fin dagli Accordi di Oslo del 1993. La corrente laica e nazionalista della Resistenza palestinese, nel momento in cui ha formalmente riconosciuto lo Stato di Israele, ha cominciato gradualmente a perdere credibilità non solo agli occhi degli stessi palestinesi ma anche di tutti quei movimenti che nel mondo si battono contro le politiche imperialiste e neocolonialiste. Il suo leader, Yasser Arafat, che in molti sospettano essere stato assassinato dal servizio segreto israeliano, non è riuscito a risollevare le sorti di questa organizzazione che ormai da molto tempo si limita a giustapporsi allo stato israeliano che tuttora occupa la Cisgiordania.  

Hamas, per parte sua, ha scelto di appoggiare il progetto statunitense di destabilizzazione della Siria baathista, alleata strategica della Resistenza libanese che ha in Hezbollah il suo baricentro. In questo modo Hamas si è necessariamente riavvicinata alla Fratellanza Musulmana, operando oggettivamente una svolta a “destra” ed assumendo posizioni che da un certo punto di vista potrebbero essere definite come reazionarie. Tutto ciò ha contribuito a indebolire il prestigio sia di Hamas che di Fatah, e una gran parte del popolo palestinese ha accolto con scetticismo questo patto, nonostante sia stato ovviamente enfatizzato dai gruppi dirigenti palestinesi.

La rivista online della sinistra palestinese, Palestina Rossa, che svolge un importante attività di controinformazione, ci comunica che: "Un sondaggio ancora operativo (al momento in cui scriviamo questo documento) sul sito dell’agenzia Màan news rivela che appena l’ 11.9% dei palestinesi approva l’accordo, l’84.6% è scettico e il 3.5% non sa esprimere opinione al riguardo".  

Il dato sullo scetticismo è molto importante e significativo perché rivela quanto in realtà le due parti siano sostanzialmente sfiduciate dai palestinesi, o quanto meno considerate poco credibili, e questo anche a causa delle politiche attuate precedentemente’ ( Alcune riflessioni sulla ‘’riconciliazione’’, 9 maggio 2014 ). Credo che abbiamo il dovere di essere rispettosi della volontà del popolo palestinese e quindi non possiamo non porci una domanda, anche se scomoda per molti: chi rappresenterà in un prossimi futuro il malcontento e la sfiducia più o meno generalizzata della maggioranza del popolo palestinese nei confronti delle organizzazioni governative ?

La domanda per ora non ha risposta; saranno i fatti a determinarlo. Facciamo un passo indietro e vediamo che, nel 2012, ci fu un interessante tentativo di riappacificazione fra Hamas e Fatah avvenuto a Doha in Qatar. Cito due interessanti passaggi tratti da una ampia documentazione del sito Palestina Rossa: "L’Emirato aveva scagliato tutto il proprio peso alle spalle della Fratellanza Mussulmana in Egitto mentre questa guadagnava con successo i rami esecutivo e legislativo del governo egiziano" (Riconciliazione palestinese: una storia di documenti, 7 maggio 2014).  

“Inoltre Hamas aveva deciso il trasferimento del proprio ufficio politico da Damasco a Doha, segno che era disposta a riconsiderare le alleanze e ristrutturare la propria ideologia in un epoca nella quale il Qatar sembrava avesse la supremazia”. L’incontro di Doha coincide (1) con l’inizio del piano statunitense di destabilizzazione della Siria,(2) ma, soprattutto, con lo spostamento a destra di Hamas che ritorna sotto il protettorato dellaFratellanza Musulmana. La questione è interessante e ha iniziato a palesarsi proprio intorno al 2012.

Già allora l’esponente siriano, Ouday Ramadan, vicino al governo di Assad, spiegò le ragioni politiche della svolta “reazionaria” della Resistenza islamica palestinese: "Lo spostamento di Hamas è da inquadrare nell’ambito di uno spostamento di rotta complessivo della dirigenza Usa". Contrariamente a Bush, Obama, che proviene da una famiglia islamica, ha cambiato rotta aprendo al dialogo con l’Islam cosiddetto “moderato, cioè con le gerarchie e i gruppi sociali dominanti al potere nella gran parte dei paesi arabi e mussulmani”. Una volta gli Usa erano alleati in Afghanistan con i fondamentalisti islamici, oggi non hanno fatto altro che rispolverare le vecchie conoscenze’ (Stefano Zecchinelli, Intervista ad Ouday Ramadan, pubblicata su Comunismo e Comunità e Osservatorio anticapitalista).

Un giudizio molto duro che corrisponde però alla realtà dei fatti. Il piano Kerry prevede infatti un Medio Oriente islamizzato. La dirigenza statunitense che fa capo al duo Obama – Brzezinski cerca in tutti i modi di saldare le componenti ‘imperialistiche intelligenti’ (termine utilizzato dallo stesso Brzezinski), cioè del sionismo storico con l’ala moderata della dirigenza palestinese. Non potrebbe esserci migliore interlocutore da questo punto di vista della Fratellanza Musulmana, organizzazione collusa con gli USA e con Israele. Giunti a questo punto non possiamo non porci ulteriori domande:”  

Il cosiddetto “governo tecnico di transizione”, guidato da Abu Mazen è da ricollegarsi, in qualche modo, all’ennesima svolta a destra di Hamas? “- In parole ancora più povere:”Abu Mazen vuol dare ad Israele la garanzia che la Resistenza islamica ha abdicato in via definitiva al suo proposito di combattere il sionismo e potrebbe addirittura arrivare a riconoscere lo stesso stato di Israele? E’ questo che sta succedendo? Gli israeliani hanno intensificato i loro attacchi – con l’arroganza che gli è propria, anche in virtù della loro schiacciante superiorità militare – contro i territori palestinesi, ma dalle agenzie di stampa israeliane veniamo a sapere che (riporto il commento di Ariel Toaff sostenitore delMeretz): ”Il negoziatore e diplomatico palestinese Nabil Shaath, uno dei principali artefici della recente unione tra Fatah e Hamas, ha partecipato alla giornata di studio sulla pace indetta da Meretz a Tel Aviv e si e’ incontrato con Zehava Gal-On e gli altri leader del partito della sinistra israeliana”.

E ancora: “Nel pubblico si sono notati, e neppure tanto in incognito, i rappresentanti di Netanyahu, che del resto non si e’ opposto all’ingresso di Nabil Shaath a Tel Aviv e alla sua partecipazione al convegno di Meretz’. Il Likud è un partito di estrema destra se non addirittura fascista (questa cosa trova riscontro nella realtà fattuale e nelle dichiarazioni dei suoi dirigenti); che cosa ci facevano i suoi rappresentanti ad una riunione della sinistra israeliana (per di più della sinistra ‘socialista’ israeliana) con i rappresentanti palestinesi? Le perplessità aumentano nè potrebbe essere diversamente. La società israeliana presenta dei tratti – razzismo interno ed esterno, neo-colonialismo e una dose massiccia di sciovinismo nazionalista – che appartenevano anche ai regimi fascisti degli anni ’30.

Questi aspetti sono stati peraltro sottolineati e documentati dallo storico israeliano Ilan Pappe che ha parlato di vera e propria pulizia etnica in corso Palestina. Potrebbe quindi a riaprirsi uno spazio politico per quelle forze politiche palestinesi di sinistra (marxiste) come il FPLP che sostiene che: “Limitare il concetto di resistenza popolare al contesto pacifico, lo svuota del suo contenuto rivoluzionario mentre l’intifada è il più grande esempio di creatività del nostro popolo; pacifica, violenta, popolare, tribale, all’interno della quale diverse fazioni politiche, economiche e culturali hanno avuto un ruolo fondamentale nella capacità di sconvolgere il nemico, perfino nel neutralizzare la sua capacità militare e superarlo politicamente e moralmente’ (Palestina Rossa, Testo integrale del documento del FPLP nel corso dell’ultima riunione del Consiglio Centrale Palestinese tenutasi a Ramallah, 10 maggio 2014).

Che cosa significa questo? Che la pace, per questa organizzazione, è impossibile con uno stato imperialista, ultranazionalista e razzista, e che lo stesso Stato ebraico, così come oggi è configurato, rappresenta di per sé una minaccia costante per il popolo palestinese e per la stabilità di tutta l’area mediorientale. Ancora una volta il futuro della pace e della democrazia sembrerebbe passare per la Resistenza all’occupazione israeliana, cosa del resto ben nota ad eminenti intellettuali come Edward Said che si è sempre contraddistinto per la sua grandissima lucidità.e capacità di analisi politica.

1 commento:

  1. quando dico che Iran ha sfamato hamas e poi il suo momento ha tradito la resistenza, Ivan comincia aprire la bocca che sumilia la fonia.
    Hamas purtroppo è un filo saudita.

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