giovedì 15 gennaio 2015

Gli artigli di Obama sull'Africa Francofona, la Voce della Russia intervista Luc Michel! (Seconda Parte)

A questo link potrete trovare la prima parte dell'intervista.


La Voce della Russia: Lei ha anche affermato nel corso di uno dei suoi interventi che a volte in Africa: "L'ombra della marionetta francese nasconde la realtà della marionetta americana". Ci spieghi questa sua affermazione.

Luc Michel: Io sono anche, come lei saprà, divenuto un leader panafricano ascoltato, al termine di un percorso cominciato più di vent'anni fa nella Jamahiriya libica, il mio giudizio quindi non é quello di un osservatore esterno, molti, troppi pensatori panafricani hanno una visione passatista, una specie di 'blocco logico' che li ancora a visioni di 10, 20 o addirittura cinquant'anni fa. L'odio totalmente giustificato dell'Africa francofona verso la vecchia potenza coloniale capita che a volte nasconda, ai loro occhi, la realtà di una strisciante neocolonizzazione americana. 

 Col ritorno totale della Francia nei ranghi NATO, organizzato da Sarkozy nel 2007, con la creazione del comando Usa 'Africom', istituito da Bush Figlio tra 2007 e 2008, abbiamo ora avuto il Summit Usa-Africano di agosto 2014, che, nelle intenzioni di Obama, deve dare la stura a un 'effetto domino' di cambiamenti di regime nel Continente Nero; gli obiettivi principali annunciati sono, oltre a Mugabe e Kagame, tutti leader di paesi francofoni e legati a Parigi, Obiang Nguema Basogo, Joseph Kabila, Paul Biya, Idriss Déby Itno...tra tutti questi il primo a venir colpito, come abbiamo detto, sarà probabilmente il Gabon e i metodi, lo abbiam visto, saranno gli usuali impiegati dagli Usa a questo fine...una Rivoluzione Colorata o una Primavera Africana, come si preferisca dirlo. Il libro di Jean Péan "Nuovi Affari Africani" sarà il detonatore di questo piano, volontario o meno che sia (é ancora troppo presto per poterlo dire).

Vdr: Avendo seguito i recenti eventi del Burkina Faso, si nota che dopo l'esplosione di gioia che ha seguito la caduta dell'autocrate Compaoré, marionetta neocoloniale diretta da Parigi e responsabile dell'assassinio di uno dei più grandi leader africani di sempre, Thomas Sankara e responsabile della recente destabilizzazione della Costa d'Avorio, sono emerse diverse denunce su un possibile 'scippo' di tale risultato rivoluzionario; vuole darci la sua interpretazione?

LM: Tra le premesse della cosiddetta 'rivoluzione' burkinabé si nota chiarissimamente l'opera della rete Soros, in particolare tramite l'International Crisis Group, nel Consiglio del quale siede lo speculatore ebreo-ungherese; fin dalle prime mosse di questo movimento di protesta io ho espresso attraverso la piattaforma datami da Afrique Media TV le mie inquietudini e i miei timori riguardo a una 'normalizzazione' per mano dei soliti agenti occidentali, Esercito in primis. Ho affermato che sarebbero state le agende di Washington e Parigi (difformi e contrastanti) a duellare per il dominio della situazione. Lo sviluppo degli eventi mi ha dato pienamente ragione: adesso il Burkina Faso ha come Premier l'ufficiale dell'Esercito che aveva preso il posto di Presidente subito dopo la fuga di Compaoré, il Colonnello Isaac Zida, l'Esercito si conferma arbitro della situazione politica, per mezzo di un ufficiale che ha passato lunghi periodi di 'addestramento' (o indottrinamento?) proprio negli Stati Uniti!

Non vi é trama o operazione neocoloniale passata per il Burkina Faso che non abbia visto protagonista Zida: egli é una creature del Generale Dienderé, Capo di SM dell'Ex-Presidente Compaoré, é stato 'Casco Blu' in Congo, dove ha operato contro il Governo di Kabila, é stato ufficiale di collegamento in Costa d'Avorio durante la crisi scaturita dalla destabilizzazione voluta da Compaoré, e "ovviamente", ha svolto corsi e seminari (cosa dicevamo riguardo la 'formattazione' dei leader promettenti?) negli Usa, in particolare alla scuola di 'antiterrorismo' in Florida, una nota struttura della CIA, una fabbrica di pedine filoamericane.

VdR: Altro caso interessante é il Camerun. Paul Biya, considerato a torto o a ragione come uno degli agenti favoriti del sistema neocoloniale francese, si allontana sempre più da questo sistema, come cercando di costruirsi uno spazio autonomo: la Cina é divenuta uno dei partner preferenziali del Camerun e il riavvicinamento recente con la Russia é significativo. Parallelamente assistiamo a dei tentativi di destabilizzazione sempre più visibili ed evidenti contro questo paese, in particolare con l'infiltrazione di elementi 'Boko Haram' dalla Nigeria, il Camerun deve quindi attendersi attacchi sempre più aggressivi in un avvenire più o meno distante? E i Camerunensi hanno capito la realtà della situazione?

LM: Una prima precisazione. Il Camerun ha GIA' visto l'intervento della rete Soros e dell'International Crisi Group, che ha pubblicato un rapporto sul paese. Il mondo politico e la stampa camerunense hanno preso coscienza del fatto che una politica di neocolonialismo aggressivo Made in Usa é in svolgimento contro il loro paese, per sempio il settimanale 'Orientations' spiegava lo scorso ottobre che "Obama si aspetta che Biya ceda il potere nel 2015 se non vuole conoscere una fine tragica come quella di Gheddafi o il banco degli imputati della Corte Penale Internazionale come Gbagbo". Pertanto dal punto di vista legale visto che le prossime presidenziali camerunensi sono previste solo nel 2018 è chiaro che questo non é nient'altro che un ricatto a condizione posto dagli Usa, affinché il legittimo Presidente lasci il posto a qualcuno di gradito a Washington. "E' questo l'atteggiamento di una potenza democratica?" chiedeva, retoricamente il settimanale.
Ancora questa settimana il periodico filo-occidentale pubblicato a Parigi 'Jeune Afrique' ha lanciato una virulenta offensiva anti-Biya.

VdR: E nella Repubblica Democratica del Congo, Kabila é a sua volta a rischio?

LM: Il Presidente Joseph Kabila é stato uno dei primi bersagli di Washington, attaccato pubblicamente da Kerry a pochi giorni dal famosi 'Summit' di inizio agosto, ha replicato che Kinshasa non accetterà alcun tipo di 'ingiunzione' straniera relativa alla tenuta della prossime elezioni nel paese. "Dai nostri partner internazionali siamo sempre pronti a ricevere avvisi, consigli, suggerimenti, sempre all'interno del rispetto della nostra sovranità nazionale, ma non accetteremo MAI alcun tipo di 'diktat'", queste parole sono state pronunciate da Kabila davanti al Parlamento. E' stato il 'NO' definitivo alle pretesi di Obama, nonché il sigillo definitivo sulla prossima operazione di 'Rivoluzione Colorata' contro il Congo. Infatti poco dopo la conclusione del 'Summit parallelo' del 5-6 agosto scorsi un'imponente macchina propagandistica anti-Kabila si é organizzata a ritmo forsennato, evidentemente foraggiata dai soliti canali.

VdR: Il Burundi? Anch'esso nel mirino americano?

LM: John Kerry si é trattenuto nel corso del discorso introduttivo con il Presidente del Burundi Pierre Nkurunziza, chiedendogli "Il rispetto della legge, dell'apparato giudiziario, dell'Esercito e delle istituzioni a protezione della cittadinanza"; il Capo di Stato centrafricano, rispondendogli in Francese, gli ha detto che il suo paese si trova tuttora in uno stato di "Dopoguerra" e che inizia solamente ora ad assaporare i frutti della Pace.

Dopodiché, puntualmente, diverse capitali occidentali e varie altre organizzazioni dirittoumaniste, sempre le stesse, hanno iniziato a "lamentare tensioni e violenze politiche e minacce alle libertà dei cittadini del Burundi". Ricordiamo che il paese é uscito nel 2006 da 13 anni di continua, devastante guerra civile.

VdR: Quindi, in conclusione, questi 'Summit' washingtoniani dello scorso agosto, sono stati delle vere e proprie trappole tese contro i paesi dell'Africa Nera?

LM: Assolutamente! Nel primo giorno di discussioni il Vicepresidente Usa, Joe Biden, ha invitato i leader africani a combattere "il cancro della corruzione" e poi John Kerry ha insistito sulla necessità di una "Società civile forte, di un forte rispetto per la Democrazia, per i Diritti Umani e lo Stato di Diritto", tutti temi carissimi allo speculatore Soros e alla sua fondazione 'Open Society'. Man mano che i lavori di questi 'Summit' procedevano si svelava il disegno americano per l'Africa: contrasto alla penetrazione economica cinese, saccheggio delle risorse naturali africane a esclusivo vantaggio degli Usa, rimozione o ridimensionamento delle vecchie cliqués neocoloniali legate alle potenze europee (Francia in primis) il tutto a colpi di 'regime change'.

Il 5 agosto, Kabila incontrava Kerry e senza dubbio avrà sentito suonare delle campane minacciose. La Repubblica Democratica del Congo é, insieme al Ruanda, il fulcro dell'intrusione americana nella regione dei laghi centrafricani e Washington non ha alcuna intenzione di 'subire' un terzo mandato presidenziale di Kabila.

Il 5 agosto Obama stesso in una giornata che avrebbe dovuto essere formalmente dedicata alla discussione di questioni economiche é riuscito nei suoi interventi a insistere pesantemente sul tema dei 'regime change', ritornando ossessivamente sulla "responsabilità dei dirigenti africani verso la costruzione di una ambiente politico propizio allo sviluppo".

I Capi di Stato africani, mescolati a una moltitudine di agenti filoamericani: leader di ONG, presunti 'intellettuali', militanti dirittoumanisti, tutti presentati come 'Giovani Leader Africani' sono stati sottoposti a un fuoco di fila di slogan pro-Usa, con l'implicita conseguenza di venire sottoposti a 'Rivoluzioni Colorati' se non avessero iniziato a obbedire e a marciare alla musica dettata da Washington.

VdR: Passiamo ora ad altri continenti, Asia e Sudamerica. Il recente tentativo di Rivoluzione Colorata a Hong Kong e i continui tentativi di scalzare regimi legittimi in America Latina, specie in Venezuela, ci annunciano la continuazione dei tentativi di destabilizzazione contro coloro che osano opporsi ai diktat americani? E dopo il sanguinoso golpe ucraino e la destabilizzazione dello spazio di sicurezza russo si devono attendere scenari simili contro Pechino?

LM: La 'rivoluzione degli ombrelli' a Hong Kong non é che il primo di questi tentativi, una Rivoluzione Colorata alla cinese, una destabilizzazione di cui però la dirigenza cinese era molto conscia e ha affrontato con successo. Io ho dedicato una puntata del mio 'Grande Jeu' alla situazione dell'ex-colonia britannica. Ho diffuso un documento che ha generato molto brusio sui social network: "THE FALSE FLAG", le Rivoluzioni Colorate decifrate da una TV cinese. Anche in Cina, come in Russia, hanno imparato a riconoscere i segni della sovversione made in Usa. Quanto al Venezuela, bé, in quel paese i tentativi di Rivoluzione Colorata sono talmente numerosi e continui che quasi non li si può separare, si attaccano l'un l'altro inanellandosi continuamente da oltre dieci anni. Dopo Hugo Chavez, che l'opposizione foraggiata dagli Usa chiamava 'La Bestia' adesso l'obiettivo é Maduro. Per colpirlo OTPOR ha una sezione venezuelana chiamata JAVU.

VdR: Gli avversari degli Usa sono spesso accusati di 'complottismo'. Lei é conosciuto per la sua ferma opposizione alle teorie del complotto, ma tuttavia ci conferma che esistono reti, finanziamenti, agenzie che non fanno altro che preparare 'ondate di cambiamento' a beneficio degli Usa più o meno dall'inizio del secolo?

LM: Questi tentativi di 'regime change' orchestrati da specialisti della sovversione hanno preso il via nel 2000 contro la Jugoslavia di Milosevic, dopo si sono sviluppati in Est Europa, nel Caucaso, hanno fallito in Bielorussia, contro Lukashenko e in Russia contro Putin. Hanno incontrato sconfitte in America Latina, prima contro Chavez (che rischiò grosso però nel 2002) e ora contro Maduro e poi sono stati declinati alla mediorientale con le cosiddette 'Primavere Arabe'. Non bisogna dimenticare poi le varie ondate di 'Occupy' (Occupy Wall Street), lanciate anche in Europa (Occupy Madrid, Bruxelles...), organizzate da Soros, il 'boss' della Open Society, queste non sono altro che faide intestine alle elités degli oligarchi finanziari, regolamenti di conti tra speculatori internazionali.

VdR: Per finire, quali sono secondo lei le soluzioni per contrastare questi tentativi di destabilizzazioni, in Africa, ma anche nel resto del mondo? Quali azioni si devono intraprendere da parte dei leader panafricani per liberare il loro continente, troppo a lungo martirizzato da marionette al servizio di questa o quella potenza?

LM: Bisogna prima di tutto intraprendere una lotta informativa; il successo delle Rivoluzioni Colorate riposa sull'ignoranza e la manipolabilità delle masse, che le rende pedine in mano a chi vuole sfruttarle per i propri fini. Come dimostra il dirottamento della situazione in Burkina Faso. Bisogna identificare, svelare e quindi bersagliare la rete di agenti stranieri e le sue Quinte Colonne, é la prima tappa da compiere. Subito dopo bisogn passare leggi restrittive del finanziamento di campagne mediatiche coi dollari americani. Obbligare le Quinte Colonne a mostrarsi, marchiarle d'infamia, l'Africa deve imparare dalle leggi difensive passate in Russia e in Bielorussia, che hanno permesso di troncare le reti filoamericane in quei paesi.

VdR: Secondo lei la Russia, la Cina e gli altri paesi del BRICS e i loro alleati, potrebbero o dovrebbero rispondere 'pan per focaccia' sostenendo movimenti contestatori negli Usa, penso, ad esempio, alle proteste contro i crimini della polizia che hanno causato grandi problemi agli Stati Uniti negli ultimi tempi, oppure bisogna reagire con metodi affatto simili a quelli dei nostri avversari?

LM: Lei sta predicando a un membro del coro, no, non credo che debbano esserci soverchie differenze: il nostro nemico é organizzato, ha esperienza e finanziamenti apparentemente illimitati. Ma le capitali dei BRICS, Russia in testa, non possono continuare a subire come fanno da 15 anni a questa parte. E' auto-evidente che la miglior difesa sia sempre e comunque l'attacco. In particolare bisogna iniziare un massiccio programma di sostegno all'opposizione e ai mass media alternativi nelle metropoli occidentali a iniziare dall'Europa. Il nemico é l'America, bisogna dirlo e dichiararlo senza esitazioni e non é poi tanto forte, ma si fa forza della nostra mancanza di mezzi. Questa é una delle preoccupazioni principali della mia organizzazione transnazionale da 30 anni a questa parte.

VdR: Grazie per i suoi commenti!

LM: Sono io a ringraziare voi di avermi permesso di esprimermi su questi argomenti, che ci riguardano tutti. Voi sapete che la mia azione si esercita specialmente in Eurasia e in Africa. Il mio punto di vista é quello di un protagonista impegnato su più fronti e sono convinto che proprio un 'Fronte Quadricontinentale' sia la soluzione più efficace contro le ansie Usa di ricostruire un'egemonia unipolare, di cui le Rivoluzioni Colorate sono uno degli strumenti principali.

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